Da qualche anno a questa parte si sente parlare sempre più spesso di autosvezzamento: quante mamme sono realmente informate sull’argomento, o meglio, quante riescono davvero a seguire correttamente questa pratica nella vita di tutti i giorni?
Cosa significa “autosvezzamento” e in cosa consiste
Facciamo innanzitutto un po’ di chiarezza: invece di autosvezzamento, sarebbe più corretto utilizzare il termine “alimentazione complementare a richiesta” (ACR). Nonostante suoni complicato, il concetto è più semplice di quel che si pensi. Sostanzialmente il bambino, a partire all’incirca dal sesto mese, inizia a condividere il pasto con i genitori, scegliendo di assaggiare i cibi che gli risultano più appetibili o che preferisce, in completa libertà.
Niente più rigide tabelle del pediatra da seguire, quindi, o cibi introdotti gradualmente nel corso dei mesi. L’idea di base, molto semplice, è che il bambino debba iniziare a stare seduto a tavola e mangiare quello che mangiano i familiari. Secondo gli esperti, infatti, i bambini sono in grado di autoregolarsi e di mangiare quello di cui hanno bisogno e i genitori, in questa fase, devono solo rispettare i loro tempi.
Quando iniziare l’autosvezzamento
La domanda successiva è: ok ma chi mi dice quando iniziare con l’autosvezzamento? La risposta è semplice: tuo figlio. E non c’è un’età precisa, in quanto dipende dallo sviluppo del singolo bambino: alcuni potrebbero sentirsi pronti a 4 mesi, altri a 6, altri ancora più tardi, intorno al settimo mese. Ci sono tuttavia 4 segnali principali che indicano che potrebbe essere arrivata l’ora di cominciare ad accantonare il latte:
- Quando il bambino è capace di stare seduto senza aiuto;
- Quando perde il riflesso di estrusione che fa sì che i bambini spingano fuori il cucchiaio con la lingua;
- Se mostra interesse per il cibo degli adulti;
- Se è in grado di comunicare il senso di fame e sazietà con i suoi gesti.
Attenzione però, autosvezzamento non significa dare al bambino qualsiasi alimento o che il bambino mangerà tutto fin da subito. Innanzitutto, a differenza dello svezzamento classico, le poppate non vengono eliminate una alla vola seguendo uno schema. Si tratta piuttosto di un processo graduale: il piccolo sceglie (da qui il termine “alimentazione complementare a richiesta”) cosa mangiare dalla tavola dei grandi iniziando da piccolissimi assaggi, integrati dalla consueta dose di latte, per poi passare un po’ alla volta ad assaggi sempre più vari e grandi, che diventeranno piccole porzioni e infine pasti completi.
Autosvezzamento sì, ma non per tutti
Addio pappe, crema di riso e brodini, se il bambino mangia le stesse cose degli adulti le mamme non dovranno più preoccuparsi di preparare pasti diversi ad orari diversi. Detto così sembra tutto molto semplice. Ma seguire correttamente l’autosvezzamento è in realtà un impegno che coinvolge tutta la famiglia. Prima di tutto è fondamentale seguire un’alimentazione sana, che rispetti i principi di equilibrio, varietà e moderazione. Inoltre, bisogna stare molto attenti a garantire il giusto apporto di tutti i componenti nutrizionali, perché non basta il latte materno o il biberon aggiuntivo ad equilibrare la dieta. Per questo è bene in ogni caso affidarsi ai consigli di un bravo pediatra, per avere indicazioni precise nella preparazione di un pasto completo.
È chiaro quindi che l’autosvezzamento non è per tutti e richiede di certo più tempo, cosa che non tutte le neomamme hanno – pensiamo ad esempio a tutte le donne che lavorano fuori casa. Pertanto, se per svariati motivi personali non è possibile seguire questo tipo di alimentazione, è meglio affidarsi ad una dieta bilanciata, seguendo i pasti consigliati dalle tabelle dei pediatri.